In principio, per cacciare le pernici, non era necessario il cane né tanto meno quello da ferma.
Il gusto della caccia trovava la sua unica espressione in cucina, per amore della quale il miglioramento delle tecniche e delle specializzazione erano materia che interessava esclusivamente la sfera dell'individuo cacciatore.
Il cane da ferma fu evento molto più recente, come scelta tecnica orientata al raggiungimento del migliore risultato con il minimo sforzo.
La testa ed il cuore degli uomini erano ancora in cucina ed il costume si radicò talmente che, ancora oggi, la maggior parte dei cacciatori giudica gli strumenti di caccia - e con essi i cani- in funzione esclusiva del rendimento.
In questa filosofia le razze si moltiplicano e si diversificano, assumendo regole e forme (standard) fondate sull'unico principio conosciuto: una maggiore efficacia in funzione del tipo di caccia, del territorio, delle condizioni ambientali, delle stagioni, oltre che del tipo di selvatico.
Si sostiene ancora, che lo stile, cioè l'elemento distintivo della razza, sia sinonimo di rendimento (almeno nelle intenzioni).
Nessuna razza poté sottrarsi a queste regole.
Nessuna, tranne una; e fu quella l'unica volta in cui le regole di selezione si allargarono ad elementi distintivi legati a nuovi accordi melodici attenti anche al "come"ed alla ricerca di nuovi sapori ed emozioni.
Si compì lo sforzo di uscire dall'area della cucina, superando l'aridità dei presupposti anatomici funzionali, per tentare di sintonizzarsi su onde mai intercettate prima.
Erano note le emozioni legate ai moti dell'animo; era noto il Setter Inglese.
La scoperta per lunghi decenni, non fu affatto valorizzata, anzi, nella ricerca si formarono scuole di diverso pensiero che finirono, col tempo, per arroccarsi su posizioni anche opposte,: alcune si distinguevano per la rigidità della formula meccanica, altre per la tipologia delle caratteristiche visibili nel portamento statico al guinzaglio (expò), altre ancora supinamente ferme alla anagraficità della carta genetica.
Il tutto avvenne prevalentemente in Inghilterra, o in allevamenti dei paesi strategicamente affiliati.
Inesorabilmente, tentativo dopo tentativo, fallirono tutti e si relegarono reciprocamente in nicchie di utilizzo limitate e di scarso successo.
Ciò divenne regola mondiale e finì, inverosimilmente, con il ridurre il Setter Inglese ad utilizzi e successi di gran lunga al di sotto delle sue potenzialità, inficiando anche i presupposti della scoperta avvenuta ne modo descritto.
Nessuno di questi tentativi ebbe l'intuizione che i moti dell'animo, insieme alla capacità di comunicarli e percepirli, fossero in contraddizione con i presupposti del lavoro svolto; tali condizioni risultavano particolarmente evidenti se comparate alla asetticità delle misure metriche ed all' insussistenza delle espressioni statiche.
Negli ultimi trent'anni alcuni (pochissimi) appassionati allevatori italiani lavorarono con ostinazione intorno all'identificazione ed alla crescita di alcune caratteristiche fenomenologiche oggettive, preoccupandosi in particolare che queste fossero inequivocabilmente manifeste, generazione dopo generazione e soggetto dopo soggetto, nel mondo, nella qualità e nell'efficacia del lavoro.
Si fece anche aggiunta di caratteristiche legate alla capacità di riflessione e comunicazione reciproca fra il setter, il suo conduttore e le trasformazioni ambientali.
Insieme alla duttilità venatoria, si accentuò anche la manifesta capacità del setter di vivere le nuove abitudini umane; l'autovettura, la casa, il condominio, l'aereo, lo stile di vita, il sistema alimentare, le nuove misure dell'uomo ed i moderni sistemi comunicazionali.
Ne venne fuori sempre più un soggetto gradevole, intelligente, comprensivo in casa e nei rapporti umani, capace di comunicare grande efficacia, apprendere e ricordare, assicurare ormai nei figli (per generazioni) una buona tenuta della qualità di rendimento, della grande genericità di prestazioni, del costante ruolo di lavoratore, sempre pronto, disponibile ed attento.
Da loro, la sostanza fu sempre preferita alla forma, anche se questa venne costantemente monitorata.
Si preferì la scioltezza alla staticità, la fluidità dinamica alla capacità di estrinsecare la forza, la potenza psichica a quella meccanica, la visibilità emotiva alla freddezza dei risultati.
In sintesi, si scelse di valorizzare di ogni componente efficace alla percezione dei moti dell'animo e, soprattutto, si rese certa e manifesta la totale condivisione delle reciproche emozioni.
E' sicuramente questa la ragione del grande successo raggiunto dal nostro nuovo Setter, quel tipo di setter descritto, forgiato, fortemente voluto ed esclusivamente allevato in Italia e che in Italia è tornato a rivivere con successo in ogni altro paese europeo, in Grecia, nei Balcani, in ogni paese mediterraneo della costa africana, nei paesi scandinavi, nonché in America del nord e, recentemente, anche in America latina.
Peccato che ne paese d'origine il Setter sia scarsamente utilizzato e, anzi, praticamente scomparso.
Peccato che anche colà si guardi con occhio così critico e poco costruttivo al dilagare del nostro setter che ha vinto la sfida con ogni tipo di razza, compresa quella della quale ha tratto le proprie origini.
Peccato poi che uomini strutture preposti alla promozione ed al controllo della razza, abbiano spessore cinegetico così modesto da non poter essere in grado di avere ruolo fattivo nella crescita della razza stessa (che per fortuna non ha bisogno di loro) né tanto meno avere la capacità di valutarne fatti, tendenze, cambiamenti, orientamenti ormai sanciti ed indiscutibilmente consolidati.
Il risultato è comunque inequivocabile: c'è un mare di nuovi Setter, ed è composto da centinaia di migliaia di soggetti che sono sicuramente, materialmente, tipicamente ed esclusivamente italiani fino all'ultimo gene.